Don Giovanni Battista Gavazzi (1550-1589)

Nato nel 1506 in territorio bergamasco, fu consacrato sacerdote a Bergamo dal Vescovo Ausiliare

Don Gabriele Castelli il 15 ottobre 1531. Divenne parroco di Acquate nel 1550, anche se l’ufficialità gli fu conferita parecchi anni dopo, il 5 luglio 1570, perché solo allora vi era stato l’atto di rinuncia del parroco precedente Sac. Giorgio Andreani.

Era un sacerdote in possesso di una vasta cultura ed era molto apprezzato dai parrocchiani che, in una relazione del 1570, lo definirono esperto in lettere e scienze sacre, studioso e conservatore dei libri prescritti (i registri parrocchiali). Inoltre si comportava bene e vestiva decentemente; ogni giorno serviva la sua chiesa e predicava tutte le domeniche. Dei suoi sermoni, alcuni tenuti anche in altre parrocchie della pieve, si conservano ancora alcune copie nell’archivio parrocchiale. Abitava nella casa della chiesa con il Cappellano Arizati e la settantenne madre di lui, munita della debita licenza per poter dimorare con loro.

Teneva a pigione studenti e studentesse in un’altra casa del paese di proprietà del figlio adottivo, sposato e di professione notaio. Era solito andare a caccia e per questo teneva dei cani. Questa passione gli costò un severo rimprovero da parte del suo Arcivescovo, San Carlo Borromeo. Per alcuni anni del suo ministero in Acquate, fu contemporaneamente Prevosto Vicario Foraneo di Lecco, fintanto che nel 1578 chiese di esserne esonerato. Sui documenti presso l’archivio di Acquate si ha notizia di lui ancora nel 1589, pertanto a 83 anni ne era ancora parroco. Nell’arco di questi anni in cui resse la chiesa in Acquate, la cronaca registrò due fatti importanti: il primo, assai rilevante, fu la prima visitapastorale del Cardinale San Carlo Borromeo, avvenuta esattamente l’8 marzo 1566, l’anno immediatamente successivo al suo insediamento sulla cattedra Ambrosiana.

A seguito della visita dettò alle chiese di Acquate ben 16 “Ordinationi”, di cui quattro riguardavano le chiese delle frazioni, mentre le altre dodici riguardavano la Parrocchiale. Eccone alcune: ornare ed indorare il Tabernacolo di legno della Parrocchiale e lasciarvi solo il Santissimo, trasferendo le reliquie in esso trovate in un luogo più conveniente, ricoprire il Battistero col Ciborio a forma piramidale, eliminare l’altare dedicato a Santa Apollonia e riordinare quelli di San Gerolamo, di Santa Caterina e Santa Lucia, chiudendoli con dei cancelletti, ed altro ancora. Non trascurò di far rilevare al parroco il disordine che regnava nel luogo sacro, fatto abbastanza comune in quei tempi, tempi nei quali il disordine diffuso non era solo di carattere materiale. Fu anche merito di questa sua fermezza nell’esigere dal clero l’attuazione severa delle disposizioni del Concilio di Trento se si riuscì a contenere la minaccia della Riforma Luterana, giunta fino nella regione svizzera dei Grigioni e quindi ad un passo dai nostri territori. Il signor Arsenio Mastalli di Olate, emerito studioso di cose antiche riguardanti la nostra città, ma scomparso nel 1969, lasciò detto di aver trovato, nei documenti riguardanti quella visita pastorale, un paio di curiose notizie. Al santo Cardinale, riposando nottetempo in quel di Acquate, fu rubata da ladri rimasti ignoti la bianca cavalcatura con cui era giunto in paese. Qualche giorno dopo, transitando per Boazzo e guadando il Caldone, San Carlo scivolò sopra un sasso finendo in acqua: completamente bagnato, fu ristorato con una calda tazza di latte in una cascina da alcuni contadini, i quali provvidero ad asciugargli le vesti accendendo il fuoco di un camino. San Carlo Borromeo, consumato dal sacrificio e dal duro lavoro pastorale cui si sottoponeva, morì il 4 novembre 1584.

Il secondo fatto, meno importante ma sempre interessante, riguarda la cronaca nera del tempo, cioè un assassinio avvenuto per motivi di eredità tra cugini della famiglia acquatese degli Airoldi, per mano di sicari prezzolati, il 17 ottobre 1567. Cristoforo Airoldi fu ucciso su mandato dei cugini e del loro padre, Francesco Marchesini degli Airoldi, i quali inoltre tramarono per far ricadere  la responsabilità dell’accaduto sul tutore dell’assassinato, tale Antonio Airoldi.