HomeAcquateI parroci di Acquate

Acquate - parroci

Don Giovanni Battista Pagani (1722-1768)

Nacque il 9 giugno 1686 in località Porto di Lecco, da Guglielmo e Antonia Maria e quindi fratello di 11 anni più giovane del curato precedente, Sac.Beltrame Maria.
La famiglia Pagani era economicamente benestante in quanto i suoi componenti conducevano un’industria metallurgica. Il padre del nostro parroco, Guglielmo Pagani, nel 1719 risultava proprietario in località Galandra di una grossa fucina attrezzata con vari magli, ancora attiva nella produzione di chiodi nel 1782 per opera di un probabile nipote, Antonio Maria Pagani. (A.Frumento- Vol.II: Storia della siderurgia lombarda)
Giovanni Battista Pagani era un Oblato, cioè un aderente all’associazione fondata da S.Carlo Borromeo che esercitava con rigore il voto di povertà e fu nominato parroco di Acquate il 28 ottobre 1722.
Fu uno dei parroci più longevi perché rimase in carica per ben 46 anni, fino alla sua morte avvenuta il 25 aprile 1768, quando aveva 82 anni e fu anche lui sepolto nella chiesa parrocchiale. Nel corso del suo lungo ministero ebbe modo di intraprendere diverse iniziative, tra le quali si ricorda la posa, tra l’altare e la navata, della balaustra con i quattro gradini sottostanti, opera di un certo Conca di Varenna, nel 1745.
Nel 1746 accolse Sua Em.za il Cardinale Arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli in visita pastorale nella Parrocchia.
Di particolare importanza risultò il suo lascito testamentario di lire 30.000 e di una sua casa per la realizzazione di un ospedale per i poveri e gli ammalati della città di Lecco.

Don Beltrame Maria Pagani (1712-1722)

Originario del Porto di Lecco, dove nacque il 15 aprile 1675 da Guglielmo e Antonia Maria. Iniziò la sua attività pastorale ad Acquate il 12 febbraio 1712 che si protrasse fino al 1722, anno in cui morì all’età di soli 46 anni. Fu sepolto nella chiesa parrocchiale, come testimonia l’atto steso dal prete Giovita Marchioni, curato di Olate e vice-curato di Acquate:

24 febbraio 1722

Il M.Rev.do Beltrame Maria Pagani, di età d’anni 46, curato di S.Giorgio d’Acquate, avendo esercitato 10 anni la cura d’anime in detto luogo con singolarissimo zelo, dottrina et esempio e con altrettanto fruto; nell’ultima sua infirmità che soltanto 8 giorni durò, istantaneamente chiese e divotionatamente ricevè li SS. Sacramenti della Penitenza, Eucaristia, Oglio Santo, munito pure della raccomandazione d’anima, la sera del 22 detto mese rese l’anima sua al Signore et oggi che gli sono fatte le solenni esequie et settimo con l’intervento di 24 Sig.ri Sacerdoti e finalmente pianto da tutto il clero e popolo il di lui cadavere posto fu in detta chiesa nel sepolcro proprio dei Sig.ri Sacerdoti.”

Don Pietro Antonio Tartari (1693-1711)

Figlio di Gio Batta Tartari e Maria D’Acquate.

Da rilievi effettuati sul libro parrocchiale dei matrimoni, risulta che il suddetto presenziò in qualità di testimone o di chierico, fin dal 1664, a diversi sposalizi.

Era quindi presente ad Acquate, di cui era nativo e dove fu battezzato il 6 maggio 1649, molto prima di diventarne parroco, cosa che avvenne il 20 aprile 1693. Morì di un colpo apoplettico il 14 ottobre 1711. Così dichiarò il sacerdote Pietro Castagna, curato di Olate e vice di Acquate, il giorno successivo:

“15 ottobre 1711.

Il M. Rev.do Sig. Pietro Antonio Tartari Vicario Foraneo e Curato d’Acquate, d’anni 70 circa, avendo il giorno antecedente celebrato la S.Messa, morì d’accidente apoplettico, senza alcun sacramento per non aver dato tempo la sua morte, è stato sepolto nella chiesa parrocchiale d’Acquate con l’assistenza di me prete Pietro Castagna Curato d’Olate e vice curato d’Acquate e altri 10  Sigg. Sacerdoti.”

Don Giuseppe Tartari (1645-1693)

Nato ad Acquate da Pietro Antonio e Maddalena Locarina nel 1616, già parroco di Vercurago, prese possesso della parrocchia il 24 dicembre 1645, succedendo al Mangiagalli, passato prevosto a Lecco.

Di lui si conserva negli archivi l’atto di morte che fu così redatto:

“Addì 30 marzo 1694.

E’ morto il M.Rev.do Sig. Giuseppe Tartari che era curato di detta chiesa. Havendo ricevuti li SS.Sacramenti di Eucaristia, Penitenza et Estrema Unzione in età d’anni 78 è stato sepolto nel sepolcro fatto di nuovo a sue spese sotto la lampada del SS.Sacramento. Al suo funerale vi sono intervenuti 24 sacerdoti.”

Don Pietro Francesco Mangiagalli (1631-1645)

La sua nomina decorre dal 16 ottobre 1631, anche se però, già l’11 novembre del precedente anno, risulta la sua presenza sugli atti di matrimonio della Parrocchia. Fu contemporaneamente Curato di Acquate e Vicecurato di Germanedo, nonché Notaio Apostolico, con la cui autorità sigillò l’atto di fondazione della Parrocchia di Rancio nel maggio 1640.

Il giorno 21 settembre 1631 morì in Milano il Card.Federico Borromeo, tenendo, come dirà il suo biografo Rivola, nella mano destra il crocifisso e nella sinistra la penna, a testimonianza della sua infaticabile opera di religioso e di scrittore.

Su un documento del 27 luglio 1632, risulterebbe che l’allora prevosto di Lecco, Filippo Cattaneo Torriano, riseppe che il Parroco Pietro Francesco Mangiagalli ingiuriò e bastonò un certo Albertino Aondio di Germanedo, col pretesto che quest’ultimo, a sua volta, bastonava la moglie, pur essendo in stato interessante.

Nel 1645 il Sac. Mangiagalli lasciò la Parrocchia di Acquate per divenire Prevosto e Vicario Forense di Lecco e con questo appellativo firmò alcuni registri del tempo, tra i quali anche quello dell’Oratorio di Falghera.

Don Giuseppe Gattinoni (1625-1630)

Sul registro dei battesimi, la presenza del precedente parroco Sac. Pozzi Ambrogio si interrompe nel settembre 1624 e se ne deduce che il Giuseppe Gattinoni gli subentrò fin dai primi mesi del 1625, ma ad Acquate era già presente in qualità di diacono e Cappellano dell’Oratorio della Concezione, almeno dal 1619. Prima di diventare curato in Acquate, fu anche per qualche anno vice-curato a Rancio. Il suo ministero si svolse negli anni della peste. Ai suoi parrocchiani colpiti dal morbo prestò particolare assistenza e si presume che anche lui morì quando l’epidemia raggiunse la sua massima diffusione nell’estate del 1630.

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